Confrontarsi per diffondere cultura, logica ed equilibrio (anche in rispetto a dove e come si vive per trarne il meglio) non vuol dire portare ad esempio "io faccio" "io sono"...
Vuol dire ragionare su dati scientifici, il più vasto e prestigioso possibile e che chiaramente possono essere in divenire.
Quindi applicarli...misurando e personalizzando.
Vuol dire avere mente aperta e non difendere a spada tratta quel che si fa personalmente.
Ed astenetevi da chi non studia e da chi non misura e non si applica tutti i giorni per cercare di fare il meglio per i suoi clienti o allievi...ma è solo un teorico di se stesso.
(S.Zambelli)

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"MANGIARE E' UNA NECESSITÀ. MANGIARE INTELLIGENTEMENTE E' UN' ARTE" (F.DeLaRochefoucald)

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"CHI NON BADA A CIÒ CHE MANGIA DIFFICILMENTE BADERÀ A QUALSIASI ALTRA COSA" (S.Johnson)

domenica 28 dicembre 2014

VITAMINA D: dalla profilassi per il rachitismo alla prevenzione generale per la salute

ABSTRACT

La vitamina D ha ricevuto molta attenzione recentemente, come risulta dal rapidissimo aumento del numero di pubblicazioni che la riguardano. Tali pubblicazioni dimostrano come la vitamina D svolga un ruolo cruciale in un grande numero di funzioni fisiologiche e come la carenza di vitamina D sia stata associata a molte malattie acute e croniche, compresi i disturbi del metabolismo del calcio, le malattie autoimmuni, alcuni tipi di cancro, il diabete mellito tipo 2, le malattie cardiovascolari e le malattie infettive. I dati più recenti sulla vitamina D da studi osservazionali sperimentali, ambientali, case-control, retrospettivi e prospettici, così come un numero minore di studi interventistici, sono significativi e confermano il ruolo essenziale della vitamina del sole in una varietà di funzioni fisiologiche e preventive. I risultati di questi studi giustificano la raccomandazione di migliorare lo stato generale della vitamina D nei bambini e negli adulti tramite un sano approccio alla esposizione alla luce solare, il consumo di alimenti contenenti vitamina D e la supplementazione con la vitamina D. In generale, una maggiore attenzione dovrebbe essere data alla carenza di vitamina D nella pratica medica e farmaceutica di quanto sia avvenuto fino a questo momento.

INTRODUZIONE

Dalla scoperta del suo effetto antirachitico nel 1920, la vitamina del sole per molti anni è stata vista solo in relazione alla sua funzione sul calcio e sul metabolismo osseo.
Una moltitudine di risultati delle ricerche degli ultimi anni ha dimostrato che la vitamina D nella sua forma ormonale attiva, 1α,25 – diidrossivitamina D [1α,25(OH)2D; calcitriolo] non è solo un regolatore del calcio e dell’omeostasi del fosfato, ma  ha  numerosi effetti extra-scheletrici. 
Questi includono l’impatto significativo dell’ormone vitamina D sul sistema cardiovascolare, sistema nervoso centrale, sistema endocrino e sistema immunitario, così come sul differenziamento cellulare e sulla crescita cellulare. 1α,25(OH)2D manifesta i suoi diversi effetti biologici
legandosi al recettore della vitamina D (VDR) presente nella maggior parte delle cellule del corpo. 
I recettori della vitamina D sono stati trovati in oltre 35 tessuti che non sono coinvolti nel metabolismo osseo. Questi includono cellule endoteliali, cellule delle isole pancreatiche,  cellule ematopoietiche , cellule cardiache e del muscolo scheletrico, monociti, neuroni, cellule
placentari e linfociti T. Si stima che l’attivazione del VDR possa regolare direttamente e /o indirettamente un grandissimo numero di geni ( 0.5-5 % del totale del genoma umano cioè, 100-
1250 geni ). Il fatto che il recettore della vitamina D (VDR) sia espresso in molti tessuti implica il notevole effetto pleiotropico dell’ormone vitamina D.



RISCHI PER LA SALUTE: DEFICIENZA DI VITAMINA D



Secondo recenti studi, la carenza di vitamina D [sierici di 25 (OH)D < 20 ng/ml] è probabile che sia un importante fattore eziologico nella patogenesi di molte malattie croniche. 
Queste includono malattie autoimmuni (ad esempio, sclerosi multipla, diabete di tipo 1), malattie infiammatorie dell’intestino ( es. malattia di Crohn ), infezioni (come infezioni del tratto respiratorio superiore), immunodeficienza, malattie cardiovascolari (ad esempio, ipertensione, insufficienza cardiaca, morte cardiaca improvvisa), cancro (ad esempio, il cancro del colon, cancro del seno, linfoma non-Hodgkin) e disturbi neurocognitivi (ad esempio, morbo di Alzheimer).
Gli attuali risultati dello studio ESTHER , uno studio a livello nazionale dal Saarland, coinvolgendo circa 10.000 donne e uomini, di eta’ compresa tre 50 e 74 anni, nel quale il livello D 25(OH) è stato misurato, ha mostrato che la carenza di vitamina D ha aumentato in maniera significativa la mortalita’ generale e cardiovascolare attraverso un follow-up medio di 9,5 anni. 
I livelli di 25(OH) e la mortalità globale hanno mostrato una marcata associazione non lineare inversa con un aumento del rischio a partire da livelli 25(OH)D inferiori a 75 nmol/l (<30 ng/ml). La carenza di vitamina D è stata associata con un aumento statisticamente significativo della mortalità per cancro e un tasso di mortalità più elevato per malattie respiratorie (…)

MALATTIE AUTOIMMUNI: 

ARTRITE REUMATOIDE, MALATTIE INFIAMMATORIE INTESTINALI, SCLEROSI MULTIPLA. 
Oltre alle malattie infettive, la vitamina D svolge un ruolo attivo nella fisiopatologia delle malattie autoimmuni. Questo è ulteriormente supportato da vari risultati sperimentali che mostrano la capacità della vitamina D di regolare la produzione di chemiochine, contrastando l’infiammazione autoimmune per indurre la differenziazione delle cellule immunitarie in modo da promuovere la auto-tolleranza.
Ciò implica il potenziamento del sistema immunitario innato e l’inibizione di quello umorale, regolando le interazioni fra linfociti e cellule che presentano l’antigene. 
Aumentando la quantità di linfociti TH2 e inducendo la proliferazione di cellule dendritiche con proprietà di tolleranza, la vitamina D esercita attività anti-infiammatoria e di immunoregolazione.


L’aumento della prevalenza delle malattie autoimmuni a latitudini più alte è stato dimostrato per la sclerosi multipla, la malattia infiammatoria intestinale, l’artrite reumatoide e il diabete di tipo 1 (…) La malattia infiammatoria intestinale (IBD) è associata con l’industrializzazione, e la sua incidenza è aumentata notevolmente col tempo. 

Una review nel 2013 ha descritto una serie di dati convergenti che suggeriscono che l’attivazione locale della vitamina D regola sia l’immunità naturale che quella umorale, e anche quella intestinale, in modo tale da promuoverne l’integrità della barriera, facilitare l’eliminazione della flora trasportata, e impedire lo sviluppo delle cellule T CD4 verso il fenotipo infiammatorio.
In un piccolo studio in doppio cieco, controllato con placebo, randomizzato, sono stati valutati i benefici del trattamento orale con vitamina D3 su 108 pazienti affetti dalla malattia di Crohn in remissione. La supplementazione di vitamina D3 (1200 UI/die) ha aumentato significativamente il livello nel siero 25(OH)D3 da un valore medio di 69 nmol/l a 96 nmol/l dopo 3 mesi. 
Il tasso di ricaduta era più basso tra i pazienti trattati con vitamina D3 rispetto ai pazienti trattati con placebo.

In uno studio pilota pubblicato recentemente, l’influenza della supplementazione di vitamina D3 per l’indice di attività della malattia di Crohn (CDAI) è stato testato in pazienti con lieve-moderato morbo di Crohn. La terapia orale di vitamina D3 è stata iniziata a 1000 UI/die e dopo 2 settimane , la dose è stata aumentata gradualmente fino al punto che le concentrazioni sieriche dei pazienti hanno raggiunto 40 ng/ml 25( OH) o per un massimo di 5000 ui al giorno. 
La supplementazione di vitamina D ha aumentato significativamente i livelli sierici di 25 (OH) D3 da
16 ± 10 ng/ml a 45 ± 19 ng/ml e ha ridotto i punteggi medi CDAI di 112 ± 81 da 230 ± 74 – 118 ±
66. I punteggi della qualità della vita sono migliorati anche a seguito della somministrazione di vitamina D.

E’ particolarmente degno di nota che i topi transgenici VDR e deficienti in vitamina D, hanno un aumento delle cellule T che sono state implicate nella eziopatologia della IBD (malattia infiammatoria intestiale) e SM (sclerosi multipla). 1α,25(OH)2D direttamente e indirettamente deprime la funzione di queste cellule T patogene, e nello stesso tempo induce una serie di cellule T regolatorie che inibiscono lo sviluppo di IBD e SM (sclerosi multipla).
Tuttavia, le evidenze attuali suggeriscono che il miglioramento del livello 25(OH)D e /o l’ utilizzo di
agonisti del recettore della vitamina D potrebbero essere utili nel trattamento della SM e IBD.

Anche se l’origine autoimmune della  sclerosi multipla (SM) è sempre più discussa, non c’è alcun dubbio sull’importante ruolo che la vitamina D svolge nello sviluppo e nella progressione della sclerosi multipla. L’evidenza epidemiologica sostiene un’associazione tra la vitamina D e la suscettibilità e la gravità delle malattie autoimmuni. Nel caso specifico della sclerosi multipla, correlazioni di bassa prevalenza di SM, attività e mortalità con alti livelli di vitamina D hanno portato all’ipotesi che alti livelli di vitamina D potrebbero essere benefici per la SM.  
Più convincente, il rischio di ricaduta si e ridotto del 12% per ogni aumento di 10 nmol/l (4 ng / mL) nel siero 25(OH)D in uno studio prospettico basato sulla popolazione. 

Uno studio affrontando gli effetti della vitamina D nella sclerosi multipla ha mostrato la sicurezza di alte dosi di vitamina D  (~ 14 000 UI/die). 
Sembrava avere effetti immunomodulatori, incluso una riduzione persistente nella proliferazione delle cellule T e ha portato a una tendenza con meno eventi di ricaduta. 
Quando si esamina l’associazione tra i livelli sierici 25 (OH) e il tasso di ricaduta in pazienti con la sclerosi multipla, prima e dopo l’integrazione, con circa 3000 UI di vitamina D al giorno, una significativa e convincete relazione inversa è stata trovata. 
Tuttavia, ci sono ancora dubbi clinici irrisolti in relazione all’ effetto della somministrazione di vitamina D e la sclerosi multipla (…) 
Le prove per la vitamina D come trattamento per la SM sono non conclusive. 
Degli studi più approfonditi serviranno per valutare l’effetto della vit D sui risultati clinici in pazienti con la SM.


Commento: 

Ci sono motivi per credere che la vitamina D possa essere un fattore ambientale che gioca un ruolo cruciale nello sviluppo di diverse malattie autoimmuni. 
Appare ragionevole mantenere un status 25 (OH) D sano, specialmente nei pazienti con artrite reumatoide, malattie infiammatorie intestinali (IBD) e sclerosi multipla (SM), soprattutto durante l’inverno [25(OH) D, valore target: 40-60 ng/ml o 100-150 nmol /L]”.


Questa review è stata pubblicata su PubMeD. 
PubMed è un sito di servizio della U.S National Library of Medicine (la più grande biblioteca medica del mondo) che nasce dall’esigenza di molti medici di avere scambio scientifico e facile acceso ai lavori dei propri colleghi. 
Fonte:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3908963/Vitamin D. 
Update 2013: From rickets prophylaxis to general preventive healthcare;
Traduzione:  eusuntanna@gmail.com


mercoledì 5 novembre 2014

Correlazione tra l'assunzione di Omega 3 e la pressione sanguigna

Gli Omega 3 contenuti nel pesce e/o negli specifici integratori sono in grado di contribuire alla riduzione della pressione sanguigna.


L’entità di questo effetto è pari, o addirittura maggiore, a quella che si riscontra quando si riduce il consumo di alcol, di sale e viene incrementata l’attività fisica.
Il consumo giornaliero di EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico), abbinato ad un corretto stile di vita (soprattutto alimentare),  aiuta a limitare - o consente talvolta di sospendere - l’uso dei farmaci per il controllo della pressione.
Sono le conclusioni cui giunge una ricerca condotta presso il Center for Epidemiology, Biostatistics and Computational Biology, in Colorado (USA). Si tratta di una metanalisi, cioè di uno studio che prende in esame i risultati di numerosi trial clinici, che è stato pubblicato sull’American Journal of Hypertension.

L’ipertensione quasi sempre è dovuta a uno stile di vita inadeguato.



La pressione sanguigna elevata - o ipertensione - affligge in Italia circa il 33% degli uomini e il 31% delle donne, e può contribuire all’insorgenza di coronaropatie e insufficienza cardiaca.
Si considera elevata una pressione “massima” che supera i 140 mmHg (millimetri di mercurio) e una “minima” sopra i 90 mmHg.
La maggior parte dei casi d’ipertensione è causata da stili di vita non adeguati. Fattori di rischio sono l’abuso di alcol, la sedentarietà, il fumo e lo stress.

Effetti maggiori sui pazienti ipertesi
Lo studio ha preso in esame 70 trial (studi) condotti su adulti cui sono stato somministrati EPA + DHA in forma di integratori, o di pesce, per più di 3 settimane, confrontati con soggetti cui è stato somministrato un placebo.
Alcuni dei soggetti coinvolti soffrivano di pressione alta ma non assumevano farmaci, altri invece avevano la pressione sanguigna nella norma.
Rispetto al gruppo placebo, il consumo di EPA e DHA ha comportato un calo medio della pressione massima di 1,52 mmHg e minima di 0,99 mmHg in tutti i soggetti trattati.
Gli effetti più significativi del trattamento sono stati osservati però negli adulti ipertesi in cui la diminuzione media della pressione massima è stata di 4,51 mmHg e di 3,05 mmHg della minima.
Anche i normotesi hanno beneficiato del trattamento, manifestando una riduzione della pressione arteriosa massima di 1,25 mmHg e minima di 0,62 mmHg .
Una riduzione della pressione massima di 1,75 mmHg e di quella minima di 1,11 mmHg è stata evidenziata inoltre tra i soggetti che assumevano integratori a base di olio di pesce, indipendentemente dallo stato della pressione sanguigna iniziale.
I risultati osservati nei pazienti ipertesi si sono rivelati gli stessi, se non maggiori in alcuni casi, degli effetti di uno stile di vita adeguato. Studi precedenti hanno mostrato infatti che riducendo i consumo di sale la pressione sistolica diminuiva del 3,6 mmHg, aumentando l’attività fisica del 4,6 mmHg e riducendo il consumo di alcol del 3,9 mmHg.
(da notare il fatto che non venga presa in considerazione la riduzione dei carboidrati: sicuramente il cambiamento che comporta i risultati più eclatanti).


EPA e DHA riducono la pressione sanguigna
Complessivamente i dati indicano che l’assunzione di almeno 2 gr di EPA + DHA al giorno può ridurre la pressione sanguigna con benefici maggiori tra gli individui ipertesi che non usano farmaci antipertensivi.
Una dose più bassa (tra 1 e 2 gr al giorno) può ridurre la pressione massima ma non la minima.
Secondo i ricercatori l’effetto sulla pressione da parte degli Omega 3 sarebbe dovuto alla capacità di regolare le funzioni dell’endotelio, cioè il sottile strato di cellule che riveste l’interno dei vasi sanguigni.
L’endotelio possiede un ruolo centrale nella regolazione della pressione arteriosa.
Studi recenti hanno infatti registrato un miglioramento della funzione endoteliale in risposta all’assunzione di EPA e DHA in soggetti con ipertensione e a rischio di patologie cardiovascolari.
Questi risultati hanno un’importante rilevanza clinica: la riduzione di 2 mm Hg della pressione riduce il rischio della mortalità per ictus del  6%, di quella per malattie cardiache del 4%, e la mortalità in generale del 7%.

Fonte: Paige E. Miller,Mary Van Elswyk, and Dominik D. Alexander .  “Long-Chain Omega-3 Fatty Acids Eicosapentaenoic Acid and Docosahexaenoic Acid and Blood Pressure: A Meta-Analysis of Randomized Controlled Trials” Am J Hypertens (2014) doi: 10.1093/ajh/hpu024 First published online: March 6, 2014


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giovedì 30 ottobre 2014

Ricerca: Omega-3 riducono ansia e infiammazione

Un sano apporto di grassi omega 3 riduce significativamente l’infiammazione, i sintomi ansiosi e lo stress psicologico.


Gli acidi grassi essenziali Omega-3 sono noti per il loro uso nel controllo del colesterolo e altri fattori predisponenti le malattie cardiovascolari. Contenuti in diversi alimenti e in integratori a base di olio di pesce, secondo un nuovo studio, possono ridurre significativamente sia l’infiammazione dell’organismo che i sintomi dell’ansia e dello stress psicologico.

Quando l’organismo viene attaccato da agenti esterni o interni nocivi reagisce con un’infiammazione caratterizzata dall’elevata presenza di sostanze chiamate citochine. Gli omega-3, secondo quanto riportato dalla rivista Brain, Behaviour and Immunity su cui è stato pubblicato lo studio, sono in grado di ridurre il livello di citochine. La presenza di queste sostanze, che promuoverebbero l’infiammazione è anche stata collegata all’ansia e allo stress psicologico. Abbassando così il livello di citochine, i ricercatori dell’Università dell’Ohio intendevano appurare se si abbassava anche il livello di ansia.

Per valutare le loro ipotesi, i ricercatori hanno coinvolto un gruppo di 68 studenti in medicina. Questi sono stati poi suddivisi in due gruppi per ricevere rispettivamente un integratore a base di olio di pesce – che conteneva circa 4-5 volte la quantità di olio di pesce che si ricaverebbe da una porzione di salmone – o un palcebo.
«Abbiamo ipotizzato che la somministrazione ad alcuni studenti di supplementi omega-3 farebbe diminuire la loro produzione di citochine proinfiammatorie, rispetto ad altri studenti che hanno ricevuto solo un placebo», spiega Janice Kiecolt-Glaser, professore di psichiatria. E i risultati le hanno dato ragione: difatti quelli che avevano ricevuto gli omega-3 hanno mostrato una riduzione del 20% di ansia, stress e disagio psicologico rispetto al gruppo placebo.

«Pensavamo che gli omega-3 potessero ridurre lo stress indotto dall’aumento di citochine che di norma, nei test, vengono prodotte dal nervosismo», ha aggiunto la ricercatrice spiegando il perché si è voluto incentrare l’attenzione su questo aspetto.
Tuttavia, anche se lo studio ha suggerito che l’uso di omega-3 può essere d’aiuto nel ridurre i sintomi dovuti a stress psicologico, «potrebbe essere troppo presto per raccomandare un ampio utilizzo di integratori di omega-3 per tutte le persone, specialmente considerando il costo e la limitata offerta di pesce necessari per fornire l’olio», ha sottolineato Marta Belury coautrice dello studio.

http://www.lastampa.it/2011/07/15/scienza/benessere/medicina/omega-riducono-ansia-e-infiammazione-RG7sJdCkcJBU9i4mexhSmK/pagina.html?exp=1

martedì 30 settembre 2014

Livelli di Vitamina D: mortalità, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, tumori e fratture.

La vitamina D è stata associata a molte condizioni di salute, ma le concentrazioni ematiche ottimali sono ancora incerte. I ricercatori protagonisti di questo recentissimo studio prospettico durato 13 anni hanno esaminato il rapporto prospettico tra i livelli sierici di 25-idrossivitamina D [25(OH)D3 e 25(OH)D2] e successiva mortalità in generale ed alcune malattie in uno studio prospettico di popolazione.
Sono state misurate le concentrazioni sieriche di vitamina D in 14.641 uomini e donne di età compresa tra 42 anni e 82 anni tra il 1997 ed il 2000, che vivevano a Norfolk, Regno Unito. I partecipanti sono stati seguiti fino al 2012. Questi sono stati assegnati a 5 gruppi in base ai livelli sierici basali di vitamina D ( inferiore a 30, tra 30 e 50. tra 50 e 70, tra 70 e 90 ed oltre 90 nmol/L).
I dati sono stati corretti statisticamente per età, sesso, tutte le cause di mortalità (2.776 morti), i dati sono stati ulteriormente aggiustati inserendo altre variabili che influenzano i parametri di salute misurati: indice di massa corporeo, il fumo, la classe sociale, l’educazione, l’attività fisica, assunzione di alcol, livelli plasmatici di vitamina C, storia di malattie cardiovascolari, diabete, o cancro.

Le conclusioni sono state le seguenti: concentrazioni alte di 25(OH)D sono associate a minore mortalità totale, malattie cardiovascolari, respiratorie e fratture ma non al cancro. Per quanto riguarda la mortalità, i rischi più bassi erano in soggetti con concentrazioni di 90 nmol/L, e non vi era alcuna evidenza di un aumento della mortalità a concentrazioni più alte, suggerendo che un moderato aumento delle concentrazioni medie nella popolazione potrebbero avere un potenziale beneficio per la salute. Solo l’1% della popolazione aveva concentrazioni di 120 nmol/L.

Riferimento:
Clin Nutr doi: 10.3945/ajcn.114.086413.Serum 25-hydroxyvitamin D, mortality, and incident cardiovascular disease, respiratory disease, cancers, and fractures: a 13-y prospective population study1–4AJCN. First published ahead of print September 17, 2014 as doi: 10.3945/ajcn.114.086413Kay-Tee Khaw, Robert Luben, and Nicholas Wareham


La carenza di vitamina D: è un marker e non un fattore di rischio nelle malattie cardiovascolari

Studi epidemiologici e le tante notizie sui media suggeriscono che la carenza di vitamina D, stimata misurando 25-idrossivitamina D nel sangue, è legata ad un aumento del rischio di cardiopatia ischemica e ictus. Tuttavia, gli studi clinici randomizzati per verificare se effettivamente la supplementazione di vitamina D riduca il rischio di queste malattie sono stati sorprendentemente deludenti, ma non si capisce perché. Per provare a rispondere a questa domanda, Ooi et al. hanno verificato se la carenza di vitamina D causasse un profilo lipidico negativo (che a sua volta causa malattie cardiache o ictus) o viceversa.

Ooi et al. hanno utilizzato in modo intelligente i dati del Copenhagen General Population Study e del Copenhagen City Heart Study per verificare se precedentemente fossero state stabilite influenze genetiche per elevati livelli dei lipidi aterogeni la diminuzione delle lipoproteine ad alta densità (HDL) a determinare i bassi livelli di 25-idrossivitamina D. I ricercatori hanno inoltre esaminato la questione opposta: se il fattore genetico che tiene la vitamina D bassa possa influire sui lipidi aterogeni e l’HDL. Ebbene i ricercatori hanno scoperto che fattori genetici per il colesterolo hanno predetto in modo significativamente preciso i livelli di 25-idrossivitamina D. Ogni raddoppio dei livelli dei lipidi aterogeni era significativamente associato con più bassi livelli di 25-idrossivitamina D, anche se livelli di HDL bassi per fattori genetici sono stati associati con una maggiore livello di 25-idrossivitamina D. Tuttavia, in stridente contrasto con il dato precedente, livelli bassi di 25-idrossivitamina D genetici non hanno predetto concentrazioni alte di lipidi aterogeni. I ricercatori hanno dunque concluso che i lipidi aterogeni elevati, associati a malattie cardiache ed a ictus, HDL escluso, contribuiscono ai bassi livelli di 25-idrossivitamina D e non viceversa!

Lo studio ha certamente dei limiti, ma è rafforzato dalla dimensione del campione (85.868 soggetti) e da approcci analitici conservatori. Questi risultati suggeriscono che bassi livelli di 25-idrossivitamina D sono semplicemente un marcatore secondario per i lipidi aterogeni elevati, pertanto questo studio (randomizzato) solleva seri dubbi circa il valore della supplementazione di vitamina D per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Riferimento:
E. M. Ooi et al., Elevated remnant cholesterol in 25-hydroxyvitamin D deficiency in the general population: A Mendelian randomization study. Circ. Cardiovasc. Genet. 10.1161/CIRCGENETICS.113.000416 (2014). [Abstract]
Copyright © 2014, American Association for the Advancement of Science
Citation: E. Price, Vitamin D—A Passenger, Not a Driver in Cardiovascular Disease. Sci. Transl. Med. 6, 254ec160 (2014).
Sci Transl Med 17 September 2014:
Vol. 6, Issue 254, p. 254ec160
Sci. Transl. Med. DOI: 10.1126/scitranslmed.3010408


Tratto da: evolutamente.it

giovedì 24 luglio 2014

Vox Media: Herbalife Science Is Definitely Garbage

Vox Media is one of the USA's largest and fastest growing online publishers. Based in Washington DC, Vox owns and operates sites in distinct vertical categories: general news, sports, technology & culture, gaming, dining & nightlife, shopping & fashion, and design & real estate.
According to Vox:
On the Herbalife website, there's a section dedicated to "science videos," where various company stakeholders boast that they "guarantee the very best science" behind their products, which are all "science proven."
Dig a little deeper, however, and it seems the evidentiary underpinnings of Herbalife's wares boil down to only four very weak studies that can barely be called science, let alone the "very best science." If this is Herbalife's prime research and development, then the company's science is definitely garbage and customers should question the health claims on its products.

A look at Herbalife's clinical trials
On a dedicated science website, Herbalife cites four clinical trials to prove the safety and effectiveness of its products:
1) The first clinical study compares weight and fat loss in two groups of obese men and women: the first went on a diet involving protein enriched Herbalife meal-replacement shakes; the second dieted with a standard Herbalife shake. While the study shows that both groups lost a few kilograms during the trial, and the protein group didn't fare any better than the other, there are several problems with the research.
First, the Herbalife website states that the study lasted for "over a one-year period;" a closer look at the actual paperreveals that the trial only ran for 12 weeks.
"Any diet study that runs for less than a year or two is worthless," said Dr. Yoni Freedhoff, an obesity specialist and author of The Diet Fix: Why Diets Fail and How to Make Yours Work. Unless people plan to drink two shakes a day for the rest of their lives, he added, this kind of plan is just not going to work in the long term. "I can put someone on a short-term marshmallow diet and they'll lose weight if they consume fewer calories."
"I can put someone on a short-term marshmallow diet and they'll lose weight if they consume fewer calories."
Second, the study wasn't actually designed to look at how Herbalife diet products compare to other weight-loss aids or even other types of diets. It only compares Herbalife products to each other. It would have been more scientific to test whether Herbalife meal replacements fare better than, say, a regular low calorie diet, or whether their shakes help people lose more weight than other meal replacement brands.
2) The second clinical study cited was never even published. Again, if Herbalife is going to claim scientific rigor, it should at least bother to publish all the studies it uses as evidence of "research and development" to see if they pass peer scrutiny.
3) The third study cited also compared the impact of two kinds of Herbalife meal replacement diets on weight and fat loss. Once again, this study only looked at whether a protein-enhanced shake helped people lose more weight than a regular shake. Again, the trial only ran for 12 weeks, and involved 75 obese participants.
Researchers found that both groups lost about the same amount of weight (5 kg). Naturally, subjecting obese people to 1,500-calorie diets that involve one real meal is not scientific evidence for Herbalife's magic; it just demonstrates that severe calorie restriction for a few weeks will result in some unsustainable weight loss.
4) The final trial on the site focused on Niteworks, a Herbalife powder mix. This research looked at whether the so-called performance enhancer had any impact on the exercise potential of 16 cyclists.
The men on Niteworks supposedly increased their aerobic performance, but this study had problems too: It was tiny, involving only 16 people. They were all elderly, male cyclists—not exactly a representative sample—and it ran for just three weeks. What's more, the study was funded by Herbalife, not an independent research group, ringing conflict of interest alarm bells.

Bottom line

If Herbalife wants to make claims to science, it should fund long-term trials comparing its products against other brands instead of short-term studies that mostly compare its own products to one another.
Dr. Freedhoff summed up the problems with the research quite nicely: "It's a shame we see products being sold on the back of studies that last for less time than many items in my refrigerator."

Traduzione

Se Herbalife vuole fare rivendicazioni di scienza, dovrebbe finanziare studi a lungo termine, confrontando i propri prodotti con quelli di altre marche, piuttosto che studi a breve termine. 

Dr. Freedhoff ha riassunto abbastanza bene ciò che è venuto fuori da questa ricerca: "E' una vergogna che vediamo prodotti venduti con riferimento a studi che durano meno tempo rispetto a molti articoli presenti nel mio frigorifero!".

Source: Vox
by TED NUYTEN on JULY 24, 2014

mercoledì 23 luglio 2014

Nuove ricerche sui tempi di assunzione delle proteine

di Jerry Brainum

La maggior parte dei bodybuilder conosce i risultati delle varie ricerche sugli effetti anabolici dell'assunzione di una miscela di proteine e carboidrati prima o immediatamente dopo l'allenamento con i pesi intenso. La combinazione di questi nutrienti fornisce il materiale necessario per la sintesi proteica muscolare e per rifornire le serve di glicogeno dopo l'allenamento. Assumere una bevanda a base di proteine e carboidrati prima dell'allenamento aumenta l'assorbimento degli aminoacidi durante la sessione, fornendo effetti anti-catabolici e favorendo il recupero post allenamento. Secondo alcuni studi più recenti, tuttavia, i suoi benefici non finiscono qui.

Gli aminoacidi aumentano la sintesi proteica muscolare perché, dopo l'allenamento, stimolano l'attività di alcuni fattori anabolici di segnalazione. Anche l'insulina gioca un ruolo importante in questo processo e sappiamo che amminoacidi carboidrati inducono il rilascio di questo ormone. Benché la maggior parte di bodybuilder normalmente mangi prima dell'allenamento, uno studio ha esaminato cosa accade le sostanze che attivano la sintesi proteica muscolare quando i soggetti rimangono a digiuno, ma assumono una bevanda a base di proteine carboidrati dopo l'allenamento.

La bevanda utilizzata nello studio conteneva carboidrati, proteine pre-digerite e l'amminoacido ramificato leucina che svolge un ruolo chiave nell'attivazione della sintesi proteica muscolare; quindi, nel primo test svolto, i soggetti hanno fatto la colazione ricca di carboidrati prima della sessione di allenamento, mentre hanno digiunato prima della sessione successiva.


La colazione ricca di carboidrati ha dimostrato il rilascio dei fattori miogenici (che sono i fattori responsabili della sintesi proteica), mentre il digiuno prima dell'allenamento e l'assunzione di proteine carboidrati dopo di esso ha massimizzato l'attività miogenica. In pratica, il digiuno ha potenziato gli effetti anabolici della bevanda assunta dopo l'allenamento. 

È vero che allenarsi a digiuno può essere difficile, ma la maggioranza dell'energia necessaria per l'allenamento viene dal glicogeno muscolare, che dipende da quello che avete mangiato nelle 24 ore precedenti. L'aumento della sintesi proteica indotto dal digiuno pre-allenamento e dalla bevanda assunta dopo di esso ha pertanto effetti anabolici molto più potenti di quelli che si ottengono mangiando prima di andare in palestra.

Un altro studio ha scoperto che, in un ambiente caldo, i giovani si allenano meglio degli anziani perché in questi ultimi l'aumento del volume plasmatico è inferiore. Tuttavia, assumendo una bevanda a base di proteine e carboidrati immediatamente prima della sessione, sia i soggetti giovani che quelli anziani sono riusciti ad allenarsi meglio in queste condizioni. Quindi, a quanto pare, la miscela riesce a colmare il deficit dovuto all'età, aumentando il volume plasmatico indotto dall'allenamento anche negli anziani. Durante l'allenamento infatti la bevanda aumenta la quantità di sangue venoso che ritorna verso il cuore che, così, riceve una maggior quantità di sangue. Così, gli organi sensibili al calore nei vari sanguigni sono stimolati, provocando un aumento del flusso ematico nella pelle che dissipa il maggior calore corporeo generato durante l'allenamento. In breve, le bevande a base di proteine carboidrati di aiutano a rimanere freschi anche quando vi allenate in un ambiente caldo!

Forse il più interessante fra gli studi recenti sull'argomento ha scoperto che le bevande pre-allenamento possono aumentare il dispendio di energia a riposo per varie ore dopo la sessione, permettendo di bruciare più grasso. Lo studio ha esaminato cinque uomini e tre donne con esperienza di allenamento con i pesi che hanno ricevuto una combinazione di proteine del siero e carboidrati oppure carboidrati da soli 20 minuti prima dell'allenamento. Gli integratori hanno aumentato notevolmente il dispendio energetico a riposo 24-48 ore dopo la fine dell'allenamento, ma la combinazione di proteine e carboidrati si è dimostrata più efficace in questo senso. Il dispendio energetico a riposo corrisponde al 60 75% dell'energia totale utilizzata ogni giorno, quindi aumentarlo può migliorare notevolmente l'ossidazione dei grassi perché porta a bruciare più calorie a riposo.

Sappiamo che l'allenamento con i pesi da solo aumenta significativamente l'energia usata a riposo grazie un processo chiamato consumo eccedente dell'ossigeno post allenamento o EPOC. L'effetto dell'allenamento con i pesi è molto maggiore di quello dell'aerobica ed è dovuto a svariati meccanismi quali un aumento della temperatura corporea post-allenamento e della circolazione ematica, vari effetti respiratori e ormonali, il rifornimento delle riserve muscolari di glicogeno, delle riserve di ossigeno nei muscoli nel sangue e delle concentrazioni di ATP e creatina. Normalmente questi meccanismi si attivano subito dopo l'allenamento ed hanno una durata piuttosto breve.

L'aumento del dispendio energetico dopo l'allenamento con i pesi per un periodo prolungato è dovuto alla sintesi proteica muscolare, che dura 24-48 ore dopo la sessione stessa. La bevanda a base di proteine e carboidrati entra in gioco perché fornisce i nutrienti che favoriscono la sintesi proteica muscolare, un processo che usa molta energia ricavandola proprio dei grassi. Questo provoca un aumento prolungato del dispendio energetico a riposo, potenziando l'uso dei grassi come fonte di energia e, quindi, migliorando la composizione corporea. La miscela di proteine e carboidrati fornisce gli aminoacidi della sintesi proteica, allungandone la durata fino a 24-48 ore. All stesso tempo, la combinazione smorza l'aumento del cortisolo, il principale ormone catatonico del corpo, aumentando l'efficienza del processo di sintesi proteica muscolare.

Articolo tratto da OLYMPIAN'S NEWS n° 117, pagg 35. Pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. 

venerdì 18 luglio 2014

Herbalife indagata per truffa: si sospetta un sistema di vendita piramidale, vietato per legge perché ingannevole

La Federal Trade Commission (FTC) statunitense ha aperto un’indagine per truffa nei confronti di Herbalife, azienda specializzata in integratori alimentari per il controllo del peso e la cura della pelle. Nel dare la notiziala società si è definita “una compagnia finanziariamente forte e di successo, che ha creato un significativo valore per gli azionisti e importanti opportunità per i distributori, influenzando positivamente la vita e la salute dei suoi consumatori per oltre 34 anni”. Sul sito italiano della compagnia si legge che “Herbalife è insieme corretta Nutrizione e opportunità di lavoro”.
La FTC sospetta che Herbalife abbia adottato un sistema di vendita piramidale, vietato dalla legge perché ingannevole, in cui i guadagni della compagnia derivano essenzialmente dal continuo reclutamento di venditori, sui quali vengono scaricati i rischi, più che dalla vendita dei prodotti ai consumatori. Herbalife, che opera in un centinaio di Paesi e ha la sede legale alle Isole Cayman e quella operativa in California, conta quasi due milioni di distributori indipendenti, ai quali vengono promessi forti guadagni, a patto che trovino nuovi distributori, come in una catena di Sant’Antonio.
L’indagine della FTC viene dopo mesi di campagna e azioni di lobby contro Herbalife da parte del miliardario William Ackman, che guida l’hedge fund Pershing Square Capital Management e che ha investito circa un miliardo di dollari scommettendo sul veloce tracollo della compagnia, causato proprio dalla sua struttura di vendita piramidale. Dopo la notizia dell’indagine della FTC, il titolo di Herbalife ha perso oltre il 7% in un giorno.

di Beniamino Bonardi
Pubblicato da Redazione Il Fatto Alimentare il 18 marzo 2014

mercoledì 16 luglio 2014

Regolamentazione nutrizionale della SINTESI PROTEICA muscolare con esercizi di resistenza: strategie per migliorare l'anabolismo - ARTICOLO IN INGLESE


di Tyler A Churchward-VenneNicholas A Burd and Stuart M Phillips*
*Department of Kinesiology, McMaster University, Hamilton, ON, Canada

Abstract


Provision of dietary amino acids increases skeletal muscle protein synthesis (MPS), an effect that is enhanced by prior resistance exercise. As a fundamentally necessary process in the enhancement of muscle mass, strategies to enhance rates of MPS would be beneficial in the development of interventions aimed at increasing skeletal muscle mass particularly when combined with chronic resistance exercise. The purpose of this review article is to provide an update on current findings regarding the nutritional regulation of MPS and highlight nutrition based strategies that may serve to maximize skeletal muscle protein anabolism with resistance exercise. Such factors include timing of protein intake, dietary protein type, the role of leucine as a key anabolic amino acid, and the impact of other macronutrients (i.e. carbohydrate) on the regulation of MPS after resistance exercise. We contend that nutritional strategies that serve to maximally stimulate MPS may be useful in the development of nutrition and exercise based interventions aimed at enhancing skeletal muscle mass which may be of interest to elderly populations and to athletes.

Introduction

The synergistic effects of amino acid provision and resistance exercise on skeletal muscle protein synthesis rates (MPS) are now well described (for reviews see: [1,2]). Consuming dietary amino acids after resistance exercise stimulates an increase in MPS and is necessary to shift net protein balance (defined as MPS minus muscle protein breakdown (MPB)) from negative (net protein loss) to positive (net protein gain) [3]. In healthy individuals, feeding-induced changes in MPS are ~3–5 times greater over the course of any given day than measurable changes in MPB, demonstrating that MPS is highly responsive, regulated, and represents the primary driver of changes in muscle net protein balance. As such, it would follow that for chronic elevations in net muscle protein balance to result in gains in muscle mass, changes in MPS are highly relevant. We do not contend that MPB is a trivial biological process; MPB assists in maintenance of intracellular amino acid levels, and likely plays a role in maintaining muscle protein quality by removing damaged proteins and allowing their constituent amino acids to be used for the synthesis of new functional muscle proteins. Consequently, we propose that nutritional interventions that enhance MPS may be of great scientific and clinical interest as a strategy to promote positive muscle protein balance and eventual muscle protein accrual. Further, these interventions may be of interest to athletes concerned with enhancing the adaptive response of skeletal muscle to chronic exercise training. Current research has demonstrated that factors such as the dose of dietary protein/essential amino acids (EAA) ingested [4,5], protein food source (i.e. whey, soy, micellar casein) [6-9], and timing of protein/EAA intake [9-11] impact the magnitude (and possibly the duration) of MPS in response to feeding and resistance exercise. Other research has focused on the ability to enhance MPS by providing increased amounts of leucine [12-14] or arginine [15] within an amino acid containing solution. Lastly, the influence of consuming mixed macronutrients on muscle protein metabolism [16-20] has also received some attention. The purpose of this review is to discuss the nutritional regulation of human MPS and provide an update on nutritional strategies that may serve to maximize MPS with feeding and resistance exercise.

Redefining the ‘window of anabolic potential’ after resistance exercise

Although the amino acid mediated increase in MPS is transient, lasting only a few hours at most[21-23], the contractile activity associated with intense resistance exercise results in increased rates of MPS that are sustained for ~48 h in the fasted state in young participants [24]. It is now unequivocal that immediate post-exercise amino acid provision is an effective nutrition based strategy to enhance MPS above rates observed with exercise alone [3,5,25]. The importance of early post-exercise protein ingestion relates to the fact that exercise-mediated increases in rates of MPS are greatest immediately after exercise (~100 – 150% above basal rates) [2], and thus the synergistic effects of exercise and feeding on MPS are likely greatest during this time-period. However, since resistance exercise increases MPS for up to ~48 h [24] consumption of dietary amino acids 24 - 48 h post-exercise recovery would also likely convey the same synergistic effects on MPS as those that are observed when amino acids are provided immediately after resistance exercise [7,8,25,26]. As shown in Figure 1, the synergistic enhancement of pre-existing resistance exercise-induced elevations in MPS by protein provision is greatest immediately post-exercise and wanes over time, but may still be present up to 48 h later. We have recently shown that feeding 15 g of whey protein, a less than optimally effective dose of protein for maximizing MPS [5], ~24 h after acute resistance exercise results in a greater stimulation of myofibrillar (contractile proteins of skeletal muscle) protein synthesis than the same dose provided at rest [27] (Figure 2). However, the effect of enhanced sensitivity to protein ingestion induced by prior resistance exercise performed 24 h earlier was independent of the amount of weight lifted. Specifically, resistance exercise was performed at a relatively high load (90FAIL) or low load (30FAIL), but both regimens were performed to volitional fatigue. Thus, irrespective of exercise load, the ultimate result was eventual similar increases in muscle fibre recruitment [28]. Future research should examine if there are age-related differences in the ability of resistance exercise to convey an enhanced sensitivity of MPS to protein ingestion when consumed ~24 h after exercise, and whether this effect is influenced by the type of protein consumed as these results would be relevant to increasing our understanding of the factors involved in age-related muscle loss.
thumbnailFigure 1. Resistance exercise stimulates a prolonged elevation of muscle protein synthesis (MPS) that can remain elevated for ≥ 24 h (dashed lines). Thus, we propose that protein ingestion at any point during this enhanced period of ‘anabolic potential’ will be additive to these already elevated exercise mediated rates (solid line).
thumbnailFigure 2. Enhanced amino acid sensitivity of myofibrillar protein synthesis (FSR) persists for up to 24 h only after resistance exercise that results in maximal muscle fibre activation induced by high load low volume resistance exercise (90FAIL) or low load high volume resistance exercise (30FAIL). 30WM represents a worked-match control to the 90FAIL condition that did not result in full muscle fibre recruitment. The change in myofibrillar protein synthesis rates are determined from the transition from fasting (FAST) to feeding 15 g of protein at rest (FED) or 24–27 h after resistance exercise in the fasting- (24 h EX FAST) or fed-state (24 h EX-FED). *Significantly different from FED (P < 0.05). †Significantly different from 30WM (P < 0.05). Adptated from Burd and colleagues [27].
Overnight nutrient provision may also represent an effective nutritional strategy to stimulate MPS, and thus increase the ‘window of anabolic opportunity’ by promoting a greater muscle net protein balance over the course of 24 h. Previous research has shown that overnight MPS rates are quite low [29], however both intragastric protein provision during sleep [30], and oral protein ingestion after resistance exercise immediately before bed [31] are followed by normal protein digestion and absorption kinetics and an overnight stimulation of MPS. Therefore, we contend that properly planned protein/EAA provision, not only immediately after, but up to ~24 h following exercise should be carefully considered as a dietary strategy to maximally stimulate exercise-induced rates of MPS.

Mechanisms underpinning the enhanced sensitivity of skeletal muscle after exercise

Dietary amino acids and insulin are major nutrient-regulated effectors of MPS and MPB and recent work has shed light on the molecular pathways involved in regulating the amino acid and contraction-induced increase in MPS. A comprehensive review of the molecular regulation of MPS in response to nutrition and exercise is beyond the scope of this article but can be found elsewhere[32]. The protein kinase mTORC1 serves as a critical point of integration from a wide range of signals that promote MPS, including dietary amino acids [33] and muscle contraction [34]. Specifically, mTORC1 regulates MPS by phosphorylation of downstream protein effectors such as p70S6k and 4E-BP1 that are involved in translation initiation of MPS. Further, blocking mTOR activity with the drug rapamycin blocks both the contraction [34], and EAA [33] mediated increase in human MPS, demonstrating the essentiality of this kinase in the regulation of MPS. To date, several studies have demonstrated that amino acid provision after resistance exercise and the subsequent increase in MPS are associated with enhanced phosphorylation of components of the mTOR signaling cascade above levels that are observed following exercise without nutrients[26,35-37]. However, dissociation between direct measures of rates of MPS and the extent of muscle anabolic signaling molecule phosphorylation has been reported previously [13,38]. Further, exactly how amino acids are able to activate mTORC1 to increase MPS is not understood, although MAP4K3 [39], vacuolar sorting protein 34 (Vps34) [40,41], and Rag GTPases [42] are signaling proteins that are candidate amino acid ‘sensors’ capable of responding to changes in amino acid concentration with subsequent activation of mTORC1. In addition, the mRNA expression of select skeletal muscle amino acid transporters such as LAT1 (SLC7A5), SNAT2 (SLC38A2), CD98 (SLC3A2), and PAT1 (SLC36A1) has been reported to be increased following EAA ingestion [43] and resistance exercise [44] in human skeletal muscle. These transporters may play an important role in the regulation of human muscle protein metabolism based on their ability to transport amino acids across the cell membrane, and relay signals to downstream targets thought to regulate MPS [45]. An increase in the protein levels of some of these amino acid transporters has also been observed following EAA ingestion [43] and resistance exercise [44], however it is currently unclear whether increases in mRNA and protein expression of these transporters are associated with enhanced amino acid transport capacity. Clearly, further research is needed to define the functional and physiological significance of these transporters in the nutrition and exercise mediated regulation of MPS.

Optimizing MPS: the role of protein source

The ingestion of dietary proteins including whey [5-8,21,27,46,47], egg albumin [5], soy [7,8], casein [6,8], and beef [48,49] are all able to stimulate MPS. However, dietary proteins from different sources differ in their capacity to stimulate MPS both at rest [6-8] and following resistance exercise [7,8]. For example, work from our lab has shown that whey protein [8] and bovine milk[7] promote greater increases in MPS after acute resistance exercise than does consumption of an equivalent amount of plant-based soy protein despite the fact that these protein sources have protein digestibility-corrected amino acid scores (PDCAAS) above 1.0. The limitations of the PDCAAS scoring system and the artificial truncation at 1.0, when some proteins have a PDCAAS of > 1.0, has been discussed in our previous review [50]. The mechanisms responsible for these differences are not entirely clear but may relate to important differences in the amino acid profile and/or amino acid availability due to differences in the digestion/absorption kinetics of the proteins. Whey protein is acid soluble and is associated with a very rapid, large, but transient increase in postprandial amino acid availability [6,51], while casein coagulates and precipitates when exposed to stomach acid and the resultant dairy curd is slowly released from the stomach resulting in a much more moderate but sustained rise in plasma amino acids [6,51]. Our lab has recently compared the effects of whey protein isolate to micellar casein on rates of MPS in elderly men [52]. Consistent with our previous findings in young subjects [8] we reported greater increases in blood leucine concentration and increases in both rested and post-exercise MPS after ingestion of 20 g of whey protein isolate than ingestion of micellar casein. This data corroborates our previous work showing that a rapid rate of amino acid appearance in the blood after feeding enhances MPS and anabolic cell-signaling after resistance exercise more than a slow rate of amino acid appearance [53], supporting the notion that protein digestion and absorption rate represents an important factor in the nutritional regulation of MPS in humans [8,47,51,52,54,55]. Our data on MPS are dissimilar, in some regards, to results obtained from studies of whole-body protein turnover [51,54,55], likely because skeletal muscle accounts for only ~30% of whole body protein synthesis [56] and turns over at a rate that is significantly less (~20-fold) than both splanchnic[57] and plasma proteins [58]. Interestingly, recent research suggests that the form of food (i.e. liquid vs. solid) may be an important factor regulating postprandial plasma amino acid availability[59]. For example, Conley and colleagues [59] showed greater increases in plasma amino acids that were more sustained following beverage administration as compared to the same supplement (i.e. energy and macronutrient matched) provided in solid food-form. These findings are interesting in light of the fact that the postprandial rise in plasma EAA [60] and/or leucine [61,62] appears to be key regulator of the postprandial rise in MPS, but more research is needed to determine the physiological relevance of food form as it pertains to the regulation of MPS.

Leucine as a nutrient signal in skeletal muscle

Of the amino acids, the EAA are primarily responsible for stimulating MPS [63,64], whereas non-essential amino acids appear ineffective in this regard [65]. The branched-chain amino acid (BCAA) leucine appears unique among the EAA as a key regulator of translation initiation of MPS[66,67]. For example, leucine, but not isoleucine or valine can stimulate an increase in MPS through activation of the mTOR-p70S6k pathway in animals [66,68]. Work in cell culture utilizing C2C12 cells has demonstrated that leucine is the most potent among the EAA in its ability to increase the phosphorylation status of p70S6k, and the only EAA capable of increasing the phosphorylation status of mTOR and 4E-BP1 [69]. Taking these data into account, recent research has focused on utilizing leucine as part of a nutritional intervention to modulate MPS and/or muscle mass in humans. Tipton and colleagues [12] examined the effect of free leucine (3.4 g) added to whey protein (16.6 g) on rates of MPS after acute resistance exercise and reported no further increase in MPS with the addition of free leucine compared to that previously reported for 20 g whey protein. However, these data are not surprising in light of work from our group [5] and others [4] in which the dose–response relationship between protein/EAA ingestion and MPS was examined. Moore and colleagues [5] reported that MPS was maximally stimulated in young men with 20 g of high-quality protein after resistance exercise, with 40 g of protein resulting not in increased MPS above that observed with 20 g, but simply elevated levels of amino acid oxidation. Thus, ingestion of leucine in amounts greater than that found in a saturating dose (20–25 g whey protein containing 2.5-3.0 g leucine) of high quality protein, is unlikely to further stimulate an increase in the magnitude or duration of MPS. However, these data are taken from young healthy men weighing ~86 kg and the maximally effective dose of protein may be quite different in, for example, a ~50 kg female gymnast or a 120 kg bodybuilder. The elderly also represent a population that may require greater amounts of dietary protein and/or leucine to mount a robust increase in MPS in response to feeding [70,71]. Future research is needed to define the amount of leucine required to stimulate MPS in both young and elderly adults and to clearly establish the role of other EAA in the regulation of MPS with feeding and resistance exercise.

Post-exercise nutrition for the elderly

Defining nutritional interventions that maximally stimulate rates of MPS are of interest in the development of therapeutic strategies designed combat age-related muscle loss (sarcopenia). The cause of sarcopenia is likely multi-facted [72], however some evidence suggests that that the elderly are ‘resistant’ to the anabolic effects of amino acids [4,73] and resistance exercise [74], and to the anti-proteolytic effects of insulin [75]. For example, Kumar and colleagues [74] reported an age-related blunting of the MPS response in the post-absorptive state following acute resistance exercise performed over a range of intensities (20-90% 1RM) when measured over 1-2 h post-exercise recovery. However, since free-living individuals typically eat after resistance exercise, it can only be speculated whether the same blunted MPS response between young and old would have been observed in the fed-state.
Despite the diminished response to amino acid provision and exercise in the elderly, it appears that the additive effects of feeding and resistance exercise on rates of MPS are preserved in this population, with several studies showing that combined feeding and exercise results in greater increases in MPS than feeding alone [48,52,76]. Our lab has recently examined the dose–response relationship between whey protein ingestion and myofibrillar protein synthesis under both rested and post-resistance exercise conditions in the elderly [76]. Contrary to young participants in whom MPS is maximally stimulated after resistance exercise with ~20 g of protein, 40 g of protein increased rates of MPS in the elderly more than 20 g when consumed after resistance exercise[76], suggesting that the elderly may benefit from a greater amount of amino acids and/or leucine after resistance exercise to maximize myofibrillar protein synthesis. In support of the elderly responding to greater amounts of leucine, Katsanos and colleagues (2006) reported that a 6.7 g mixture of EAA containing 26% leucine was unable to promote an increase MPS above basal levels in the elderly; however, when the leucine content of the same EAA mixture was increased to 41%, MPS was stimulated above basal to the same extent as that observed in young subjects [70]. These findings suggest that amino acid composition, and not simply total EAA is of key importance in determining the postprandial response of MPS in elderly muscle. However, the efficacy of free leucine supplementation with meal feeding as a strategy to augment muscle mass in the elderly is not currently supported. Verhoeven and colleagues (2009) examined the efficacy of long-term leucine supplementation on skeletal muscle mass in elderly subjects and reported that supplemental leucine (7.5 g per day with meals) for a 12-week period did not increase skeletal muscle mass or strength when compared to an energy-matched placebo [77]. However, this was only in subjects who were consuming standard meals and meal-induced gains in lean mass from feeding alone, without resistance exercise are likely to be small, especially over a period of 12 weeks. Further, the leucine supplementation was associated with declines in circulating valine and isoleucine which could have become limiting for the stimulation of MPS [77]. Studies in animals have shown that leucine provision leads to a decline in circulating EAA and reduces the duration of the amino acid mediated increase in MPS [78]; however, when this decrease is prevented and basal amino acid concentrations are maintained, the response of MPS to amino acid provision lasts ~2 hours [79]. Overall, additional dietary leucine, which may be obtained from high quality proteins and not necessarily in crystalline form, may be of some benefit to the elderly from the perspective of increasing MPS [70,71]. More research is needed to examine the effect of leucine-enriched amino acid provision in the early time period after resistance exercise on MPS and gains in lean mass following more long-term training.
Recently, Smith and colleagues (2011a, 2011b) have examined the role of supplemental (4 g day for 8 weeks) omega 3 polyunsaturated fatty acids on rates of MPS and the activation of signaling proteins within the mTOR-p70S6k pathway in both young and middle aged [80], and elderly subjects [81]. In all age groups examined, supplementation with omega 3 fatty acids significantly increased the magnitude of the amino acid/insulin induced stimulation of MPS and phosphorylation of mTOR [80,81]. Although the mechanisms are currently unknown, these results suggest that omega 3 polyunsaturated fatty acids possess anabolic properties via their ability to enhance the sensitivity of skeletal muscle to amino acids and insulin, even in young healthy individuals [80,81]. Recently it has been shown that supplemental fish oil (2 g/day) is also able to enhance the adaptive response to chronic resistance exercise training by promoting increases in muscle strength in elderly women [82]. Future research should examine the role of supplemental omega 3 polyunsaturated fatty acids on lean muscle mass accrual following a period of chronic resistance exercise training in both the young and elderly.

Role of carbohydrate and insulin in the regulation of muscle protein metabolism

Consumption of a typical mixed meal is generally associated with the ingestion of not only dietary proteins and amino acids, but also carbohydrates and lipids. While almost nothing is known about the impact of lipid-protein co-ingestion on direct measures of MPS with feeding and resistance exercise, Elliot and colleagues [83] reported that threonine and phenylalanine uptake (indicative of an anabolic response) was greater after ingestion of whole milk (8.2 g fat, 8.0 g protein, 11.4 carbohydrate: total 627 kcal) as compared to fat free milk or isocaloric control conditions that were devoid of fat. The reason for the greater anabolism after whole milk ingestion is not entirely clear; however, it may relate to the greater muscle perfusion, at least in that study. Previous studies have investigated the role of carbohydrate (CHO) in the regulation of human muscle protein metabolism [16-19,84]. Intake of CHO is associated with increased levels of circulating insulin, which has a strong inhibitory effect on MPB [38,85,86], and thus is able to improve net protein balance [16-19,84]. However, in the absence of amino acid intake, CHO intake does not result in a positive net protein balance [19,84]. Our lab has recently examined the effect of carbohydrate-protein co-ingestion as compared to protein intake alone on rates of MPS and MPB after acute resistance exercise in young men [17]. Subjects consumed 25 g of whey protein or 25 g of whey protein with 50 g of added CHO as maltodextrin. Area under the plasma insulin curve was ~5-fold higher following protein-carbohydrate co-ingestion, however measures of limb blood flow, MPS, and MPB at rest and after resistance exercise were not different as compared to protein alone[17]. Therefore, when protein intake is of sufficient quantity to maximize MPS (see [5]), the resulting hyperaminoacidemia/hyperinsulinemia is sufficient to not only maximize MPS, but also fully inhibit MPB. These findings corroborate earlier work by Greenhaff and colleagues (2008) who demonstrated that low concentrations (5 mU/L) of insulin are required to mediate a maximal amino acid induced stimulation of leg protein synthesis, and that increasing plasma insulin up to 30 mU/L was required to reduce leg protein breakdown by over 50% and increase net protein balance, but concentrations above this were not further inhibitory for protein breakdown [38]. It is important to note that although CHO may not be fundamentally important in altering net protein balance after resistance exercise when adequate protein is provided, muscle glycogen is reduced following resistance exercise [87,88] and CHO has an important role in muscle glycogen resynthesis and is therefore useful to enhance recovery from training [89].

Conclusions

Nutritional interventions designed to maximally stimulate MPS may be useful for those individuals concerned with enhancing skeletal muscle protein accretion, particularly when they are combined with a program of chronic resistance exercise. Factors including protein/EAA dose, protein source, timing of protein ingestion, and amino acid composition appear to impact the magnitude, and possibly duration, of postprandial MPS. Therefore, in terms of current recommendations it appears that consumption of ~ 20–25 g (corresponding to ~ 8–10 g EAA) [5] of a rapidly absorbed protein[6,8,53] may serve to maximally stimulate MPS after resistance exercise in young healthy individuals. Ideal candidates to fulfill such criteria appear to be whey [6,8] or bovine milk [7]. Whether these recommendations hold for individuals outside of ~80-90 kg is unknown and future research is warranted to address this question.
For the elderly, consumption of high quality leucine-rich proteins, such as whey, may be of primary importance to maximize MPS [70,71] although addition of free leucine to meals does not appear to be an effective strategy to enhance muscle mass or strength, at least when measured over 12 weeks [77]. We propose that there is, at least in young individuals, an extended ‘window of anabolic opportunity’ beyond the immediate post-exercise period that persists for at least 24 h, which may result from muscle fibre recruitment dependent enhanced sensitivity of skeletal muscle to amino acid provision. Although amino acids appear to be the primary nutrient effectors of MPS and can independently enhance muscle protein accrual, their effect on MPS, and ultimately muscle growth will be enhanced by chronic resistance exercise.

Abbreviations

CHO, Carbohydrate; EAA, Essential amino acid; MPB, Muscle protein breakdown; MPS, Muscle protein synthesis.


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